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.153CANTO V[Canto V, ove si tratta de la terza qualitade, cioè di coloro che per cagione di vendicarsid'alcuna ingiuria insino a la morte mettono in non calere di riconoscere sé esserpeccatori e soddisfare a Dio; de li quali nomina in persona messer Iacopo di Fano eBonconte di Montefeltro.]Io era già da quell' ombre partito,e seguitava l'orme del mio duca,3 quando di retro a me, drizzando 'l dito,una gridò: «Ve' che non par che lucalo raggio da sinistra a quel di sotto,6 e come vivo par che si conduca!».Li occhi rivolsi al suon di questo motto,e vidile guardar per maraviglia9 pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.«Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,disse 'l maestro, «che l'andare allenti?12 che ti fa ciò che quivi si pispiglia?Vien dietro a me, e lascia dir le genti:sta come torre ferma, che non crolla15 già mai la cima per soffiar di venti;ché sempre l'omo in cui pensier rampollasovra pensier, da sé dilunga il segno,18 perché la foga l'un de l'altro insolla».Che potea io ridir, se non «Io vegno»?Dissilo, alquanto del color consperso21 che fa l'uom di perdon talvolta degno.E 'ntanto per la costa di traversovenivan genti innanzi a noi un poco,24 cantando 'Miserere' a verso a verso.Quando s'accorser ch'i' non dava locoper lo mio corpo al trapassar d'i raggi,27 mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;e due di loro, in forma di messaggi,corsero incontr' a noi e dimandarne:30 «Di vostra condizion fatene saggi».E 'l mio maestro: «Voi potete andarnee ritrarre a color che vi mandaro33 che 'l corpo di costui è vera carne.Se per veder la sua ombra restaro,com' io avviso, assai è lor risposto:36 fàccianli onore, ed esser può lor caro».Vapori accesi non vid' io sì tostodi prima notte mai fender sereno,39 né, sol calando, nuvole d'agosto,154che color non tornasser suso in meno;e, giunti là, con li altri a noi dier volta,42 come schiera che scorre sanza freno.«Questa gente che preme a noi è molta,e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:45 «però pur va, e in andando ascolta».«O anima che vai per esser lietacon quelle membra con le quai nascesti»,48 venian gridando, «un poco il passo queta.Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,sì che di lui di là novella porti:51 deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?Noi fummo tutti già per forza morti,e peccatori infino a l'ultima ora;54 quivi lume del ciel ne fece accorti,sì che, pentendo e perdonando, foradi vita uscimmo a Dio pacificati,57 che del disio di sé veder n'accora».E io: «Perché ne' vostri visi guati,non riconosco alcun; ma s'a voi piace60 cosa ch'io possa, spiriti ben nati,voi dite, e io farò per quella paceche, dietro a' piedi di sì fatta guida,63 di mondo in mondo cercar mi si face».E uno incominciò: «Ciascun si fidadel beneficio tuo sanza giurarlo,66 pur che 'l voler nonpossa non ricida.Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo,ti priego, se mai vedi quel paese69 che siede tra Romagna e quel di Carlo,che tu mi sie di tuoi prieghi cortesein Fano, sì che ben per me s'adori72 pur ch'i' possa purgar le gravi offese.Quindi fu' io; ma li profondi fóriond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea,75 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,là dov' io più sicuro esser credea:quel da Esti il fé far, che m'avea in ira78 assai più là che dritto non volea.Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,quando fu' sovragiunto ad Orïaco,81 ancor sarei di là dove si spira.Corsi al palude, e le cannucce e 'l bracom'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid' io84 de le mie vene farsi in terra laco».155Poi disse un altro: «Deh, se quel disiosi compia che ti tragge a l'alto monte,87 con buona pïetate aiuta il mio!Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;Giovanna o altri non ha di me cura;90 per ch'io vo tra costor con bassa fronte».E io a lui: «Qual forza o qual venturati travïò sì fuor di Campaldino,93 che non si seppe mai tua sepultura?».«Oh!», rispuos' elli, «a piè del Casentinotraversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,96 che sovra l'Ermo nasce in Apennino.Là 've 'l vocabol suo diventa vano,arriva' io forato ne la gola,99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.Quivi perdei la vista e la parola;nel nome di Maria fini', e quivi102 caddi, e rimase la mia carne sola.Io dirò vero, e tu 'l ridì tra ' vivi:l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno105 gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?Tu te ne porti di costui l'etternoper una lagrimetta che 'l mi toglie;108 ma io farò de l'altro altro governo!".Ben sai come ne l'aere si raccogliequell' umido vapor che in acqua riede,111 tosto che sale dove 'l freddo il coglie.Giunse quel mal voler che pur mal chiedecon lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento114 per la virtù che sua natura diede.Indi la valle, come 'l dì fu spento,da Pratomagno al gran giogo coperse117 di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,sì che 'l pregno aere in acqua si converse;la pioggia cadde, e a' fossati venne120 di lei ciò che la terra non sofferse;e come ai rivi grandi si convenne,ver' lo fiume real tanto veloce123 si ruinò, che nulla la ritenne.Lo corpo mio gelato in su la focetrovò l'Archian rubesto; e quel sospinse126 ne l'Arno, e sciolse al mio petto la crocech'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;voltòmmi per le ripe e per lo fondo,129 poi di sua preda mi coperse e cinse».156«Deh, quando tu sarai tornato al mondoe riposato de la lunga via»,132 seguitò 'l terzo spirito al secondo,«ricorditi di me, che son la Pia;Siena mi fé, disfecemi Maremma:135 salsi colui che 'nnanellata priadisposando m'avea con la sua gemma».157CANTO VI[Canto VI, dove si tratta di quella medesima qualitade, dove si purga la predetta malavolontà di vendicare la 'ngiuria, e per questo si ritarda sua confessione, e dove truova enomina Sordella da Mantua.]Quando si parte il gioco de la zara,colui che perde si riman dolente,3 repetendo le volte, e tristo impara;con l'altro se ne va tutta la gente;qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,6 e qual dallato li si reca a mente;el non s'arresta, e questo e quello intende;a cui porge la man, più non fa pressa;9 e così da la calca si difende.Tal era io in quella turba spessa,volgendo a loro, e qua e là, la faccia,12 e promettendo mi sciogliea da essa.Quiv' era l'Aretin che da le bracciafiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,15 e l'altro ch'annegò correndo in caccia.Quivi pregava con le mani sporteFederigo Novello, e quel da Pisa18 che fé parer lo buon Marzucco forte
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